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Lanius |
Sulle montagne e nelle valli era quel momento sospeso, di fiato trattenuto come poco prima di una parola importante, appena prima di un cambiamento. Non vi è attimo di più grande immobilità sospesa come prima prima di una rivoluzione.
Così, in una strana atmosfera surreale di apparente stasi, le montagne stavano con fiato sospeso sopra le valli, per un attimo la neve ghiacciata del mattino invitava ancora ad mettere ai piedi sci e ciaspole per percorrere gli ultimi tratti di cammino, ma l’aria parlava già una lingua diversa, parole tiepide che la neve non conosceva.
Due marmotte, intrepide, lanciarono i loro primi timidi fischi per sincerarsi che l’inverno non facesse dietrofront e tornasse a sferrare altri attacchi, si aprivano con slancio ed ottimismo un stretta via in mezzo al bianco contorno, decise, supportandoli a vicenda, ad esplorare il mondo che a loro pareva ritornare dopo un lungo letargo come il loro. Ingenuità di marmotte. Pensavano che anche gli gnomi andassero in letargo, che il mondo intero dormisse con loro e benché ciò non fosse per nulla veritiero si poteva affermare, senza timore di mentire, che alcuni gnomi estivi dormissero parecchio sotto stati di coperte nelle loro case durante i giorni invernali non gradendo per nulla la pungente insolenza del gelo, stavano al chiuso mettendo raramente il naso fuori ma mettendo in continuazione la legna sul fuoco.
Nelle zone maggiormente amate dal sole, poste sulle schiene delle montagne, la neve in parte sciolta, lasciava migliaia di crochi viola e bianchi sbocciare, padroni del nuovo mondo, con silenziosa esuberanza fra l’erba che, ancora provata e succube del comando del gelo invernale, stentava a riprendere il suo verde natio.
I torrenti invece parevano giovani capretti, mentre riprendevano vigore aprendosi senza indugi la via fra sulla spessa coltre dal bianco marmoreo, modellandola con curve sinuose ed incavi di chiaro scuro, rendendola simile ad una scultura arcaica.
Il cielo, mutevole d’umore ma divertito da quei movimenti che l’aria mite suggeriva e sussurrava a tutto ciò che esisteva, giocava con la luce a far riflessi cangianti sulla neve, a far luccicare i rivoli d’acqua ed i sussulti dei ruscelli cosicché lo gocce parevano per un istante uno strascico di diamanti in movimento sul manto giallo intenso delle infiorescenze dei salici inchinati lungo i torrenti
continua
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Le prime piccole pigne viola acceso adornavano i rami spogli dei larici, ovunque prendeva forma continuo germogliare ed un rifiorire, una spinta alla vita, alla ripresa dei ritmi pulsanti poiché, nonostante la neve si intestardisse a voler restare su ogni cosa, la primavera era ormai tornata e, stretto l’atavico patto con l’inverno, poco a poco riprendeva il comando sul divenire delle cose e delle creature.
L’inverno, marciava però lento in ritirata, non amava concedere terreno e neppure troppo in alto dava l’impressione di voler resistere, quasi come se le cime delle montagne solo a lui sussurrassero una certa diffidenza verso la ripresa della vita in atto più in basso.
Gli gnomi osservavano questa effimera fase di transizione stagionale ben sapendo che tutte le cose che sfuggono rapidamente chiedono subito di essere inseguite.
Erano passate da poco le idi di marzo, i rivoli d’acqua si nutrivano di neve sulle salite, i ghiacciai elargivano neve sciolta in dono a ruscelli e torrenti. Le cascate alzavano le voci spente durante l’inverno facendosi impetuose e dando vita ad una sinfonia senza eguali negli altri periodi dell’anno, inconfondibile coro ad omaggiare l’arrivo della primavera sulle montagne.
Nel boschi i rami dei larici si riempivano di piccoli ciuffetti di aghi verdi mentre nel sottobosco spuntavano bucaneve, primule gialle, anemoni viola ed erica rosa.
"Tiu...tic-tic, tiu…tic-tic”, un gorgheggio rauco e breve proveniva dai bordi del bosco. “Dev’essere uno stiaccino, sebbene richiami il canto del codirosso…” - pensò ad alta voce Lanius - “no, questo è certamente uno stiaccino che va a cercar casa nelle praterie…”
“Mastro Lanius, bisogna ammettere che nessun canto ti è sconosciuto tra queste valli “, disse Ropunzolo che lo seguiva con attenzione nel suo zigzagare tra gli alberi e dentro a fuori dal sentiero.
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Ropunzolo |
Egli non solo era esperto conoscitore di tutti i volatili della montagna, ma aveva ingegnosamente inventato un sistema di ricovero per le uova che incidentalmente cadevano dai nidi o perdevano i genitori. Predisponeva ai piedi di carpini e faggi dei ripari in legno dove egli poteva sistemare e ricoverare le uova non ancora schiuse che avevano appunto avuto la sorte avversa di cadere dal nido o rimanere abbandonate per qualche malaugurato caso dai genitori; nel periodo delle schiuse, ogni giorno egli stesso passava ad accudirle fino alla nascita dei pulcini.
Tornando a noi, poiché dunque Ropunzolo era uno gnomo primaverile particolarmente sensibile e gioioso, non che egli non avesse mai conosciuto un leggero velo di malinconia sul far dell’autunno, ma col l’arrivo della primavera nulla, ma proprio nulla, poteva turbarlo. Possedeva un animo candido e generoso che lo rendeva incapace di non prodigarsi per il bene di una creatura, per questo motivo seguiva all’inizio di ogni primavera Lanius nelle sue ricognizioni in modo tale da imparare i luoghi e gli alberi dove lo gnomo sistemava i suoi ricoveri per uova. Era indubbiamente il suo più attento ed operoso aiutante, non c’era uovo disperso che gli sfuggisse e che egli non mettesse in una sua calda cesta di lana per poi andarlo a mettere dove Lanius lo avrebbe trovato ed accudito.
Ropunzolo conosceva il bosco, i fiori in modo particolare, ma anche il resto della selva gli era famigliare, degli uccelli però, per suo conto, non riconosceva né distingueva tutti i canti, non sapeva crescerli…non era certo Brân il Benedetto, soleva dire; quindi raccoglieva le uova e le lasciava a Lanius.
Nei pressi di un carpino bianco lo gnomo aveva posizionato un ricovero ben sistemato con lana, paglia e piume a farne un comodo nido protetto da legno di carpino, appunto, come le abitazioni degli gnomi che spesso sono costruzione di quel legno, lì, con l’amico sempre attento osservatore al suo fianco, prese a bruciare alcune foglie secche dell’albero; gli gnomi sapevano infatti che inalare i fumi sprigionati dalle sue foglie, infondeva nei dintorni una sensazione di spensieratezza tale da distogliere chiunque dai propri intenti, causando tendenza al riso ed al gioco, e dunque fungendo da ulteriore protezione verso chiunque avesse avuto l’intento di rubare le uova. I carpini poi erano alberi rustici e semplici, particolarmente adattabili e affidabili, erano lavoratori instancabili del bosco, forti, poliedrici e dall’animo buono ed amabile. Certo, talvolta potevano essere testardi in maniera esasperante, ma solitamente gli gnomi li sapevano essere di buon cuore e di saldi principi ecco perché avevano piena fiducia in loro.
“Domani, quando e se passerai di qui, prendi delle braci di carpini che metterò sotto questa pietra poi mescolale col sale e usale per rendere le superfici lisce leggermente più ruvide, cosicché qualunque strumento appoggiato su di esse non scivolerà…” disse Lanius a Ropunzolo che a volte era un pò maldestro nelle sue opere.
“Ti ringrazio molto mastro Lanius, non mancherò. Giusto qualche giorno fa mentre facevo una tisana con i fiori di prugnolo di mastro Straif, mi si è rovesciato sopra l’idromele…”
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Straif |
“Ne ho fatto una tisana con l’idromele, mastro Moscardo passa quasi tutti i giorni a prenderla come digestivo.”
“Tisana dici…? Digestiva dunque…? Mastro Moscardo…? Sarà così… Ad ognuno il suo compito!” concluse ridendo Lanius.
Nel mentre una poiana, inconfondibile per la sua eleganza nel volo librato controvento, con il suo caratteristico richiamo dai toni decrescenti, ricordando come i cieli fossero il regno di veri e propri principi della natura, volteggiava i sopra i due gnomi.
Lanius, conoscendo i canti e le lingue di tutti gli uccelli emise un suono simile a un “kiieeeee”, poi un altro diversamente modulato ed infine altri tre sempre più bassi in risposta al rapace che volteggiò nuovamente in alto in circolo ad ali immobili con la coda tenuta a ventaglio per poi calare improvvisamente a terra; si posò sul terreno poco distante e camminò goffamente, come un albatros le cui ali da gigante impediscono di camminare, verso Lanius.
Ropunzolo non avvezzo alle visite ravvicinate dei rapaci ebbe prima un sussulto poi indietreggiò con un balzo istintivo ed inciampando finì col cadere tra delle primule gialle.
Lanius si avvicinò alla poiana, tese la mano e questa chinò il capo. Lo gnomo ne accarezzò il piumaggio bruno marrone inframezzato da macchie e stirature biancastre e prese a sussurrare nella lingua dei rapaci, l’uccello poi indietreggiò e con due battiti d’ala non molto profondi si alzò in volo.
“Tutto bene mastro Ropunzolo?” chiese quindi Lanius.
“Certamente amico mio, come vedi son qui seduto a raccogliere primule per le frittele della cena, il loro sapore è ben gradevole e molto delicato, dovresti provarlo!”
“Non mancherò, mio cordiale e buon amico.” rispose Lanius. Gli gnomi risero di buon spirito, si salutarono dandosi convegno a mangiar frittelle di primule sotto ai carpini e divisero il loro cammino.
Lanius proseguì il suo giro d’ispezione, ad ogni ricovero per uova si fermava, apriva il cancellino e controllava che le uova fossero calde e asciutte, le risistemava girandole se ce ne fosse stata la necessità, le accudiva al meglio e le copriva con le piume che raccoglieva sotto ai nidi.
Bisogna qui dire ancora riguardo a questo illustre e stimato gnomo che tra tutte le creature alate ne aveva una che occupava un posto privilegiato nel suo cuore quanto nel suo spirito ed era il nero e splendido corvo imperiale. Ne aveva allevati alcuni dopo che i genitori, teneri e monogami, erano stati vittime del malpensiero della gente alta e due di quei pulcini gli erano rimasti legati da profonde corde d’affetto e fiducia invisibili ai più.
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Ricordo |
Fine
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©Genepio, gnomi di montagna.
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