Un ghiaccio rigido e muto ricopriva le vie, man mano che lo gnomo si spostava l’aria che lo avvolgeva era densa di brina cristallina, brina insolente e bizzarra che pizzicava, pungeva, pungolava, faceva battere i piedi.
Dalle nuvole cariche di neve, che si piegavano per il peso fino a toccare terra, emergeva la barba intirizzita di Fuach. Lo gnomo però era a suo agio: gnomo della neve, piccolo e minuto come i suoi pari, viveva nel e col freddo, là dove era nato tutto era gelato, anche il rumore. Aveva detto il freddo allo gnomo: “Aspettami, se non son venuto prima, aspettami. Solo se non ci sarò a Natale mai più non m’aspettare…”
L’inverno stava posando i suoi piedi sui prati. Anche il sole lo aveva compreso, dopo un lungo autunno di schermaglie aveva ceduto e accordato la vittoria all’inverno, frutto di un temporaneo armistizio. Si poteva dire che i suoi raggi arrivassero fatti non di luce ma di schegge di ghiaccio.
continua
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Gli gnomi della neve molto raramente si muovono da soli, sanno che quando la neve si stufa di star ferma e quando le montagne si scrollano le spalle è bene essere almeno in due. Questi gnomi non muoiono di freddo ma di oscurità, non possono mai lasciare che si freddi il cuore nonostante li si creda creature fuggenti, gelide, silenziose e misteriose.
Fuach chiamò sottovoce: “Neve… neveee…”.
Ma quel giorno di gelo incantato Fuach non era preoccupato. Stava crescendo il freddo.
Vi fu un breve turbine di vento, la neve si fece sollevare, faceva giri su se stessa, s’inchinava e poi ricadeva in veli leggeri. Dal bosco si udiva qualche lamento, si udivano gli scoppi dei rami che, tormentati dal troppo peso, si arrendevano e si spezzavano.
Alcuni fiocchi si smarrivano, si rigiravano e confusi dal turbinare tornavano indietro verso il cielo;
incontrando quelli che invece caducano lenti e sicuri, si volgevano del verso giusto e ridiscendevano.
Un esercito di nuvole possenti come pesanti carri venne ad occupare il cielo. il loro carico erano migliaia di soldai bianchi che marciavano impadronendosi del cielo, era l’esercito nevoso dell’inverno.
“Guarda la neve che oggi ha imbiancato tutto e gli alberi che si lamentano di portare tutto questo suo peso, i torrenti si sono fermati, non parlano, sono rappresi nella morsa del gelo.
Festeggiamo questo freddo, Burian, poi versa idromele o vino vecchio! Lascia il resto all’inebrio che si muove.” Burian annuì, lo gnomo amava più di tutto l'inverno, perché quando il mondo diventava freddo il ghiaccio diventava il suo destriero. Non era mai del tutto certo se fosse il freddo a portarsi dietro il destriero, oppure il destriero a cavalcare davanti al freddo. Era il tipo di domanda che regolarmente poneva al suo compare Barbaghiaccio, piccolo come lui ma insaziabilmente curioso, l’importante era che ci pensasse, la risposta non così necessaria, finché il gelo, la neve e il destriero di ghiaccio arrivavano al tempo stabilito, lui era felice.
È nel momento più freddo dell’anno che il larice, l’abete e il cembro rivelano la loro tenacia…
(continua…)
©genepio
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